Non
facciamo dunque alcun conto, né che mi muova, né che non mi muova,
è più prudente, dato che la cosa non ha importanza, e passiamo a
cose che ne hanno. Quali? Questa voce che parla, pur sapendosi
menzognera, indifferente a quel che dice, forse troppo vecchia e
troppo umiliata per poter mai dire finalmente le parole che la
facciano cessare, che si sa inutile, e inutilmente inutile, che non
si ascolta, attenta al silenzio che rompe, dal quale forse un giorno
le ritornerà il lungo limpido sospiro d’avvento e d’addio, è
una di esse? Non porrò più domande, non ne conosco più. Essa esce
da me, mi riempie, grida contro i miei muri, non è la mia, non posso
fermarla, non posso impedirle di straziarmi, di scuotermi, di
assediarmi. Non è la mia, io non ne ho, non ho voce e devo parlare,
è tutto quello che so, è intorno a questo punto che bisogna
parlare, con questa voce che non è la mia, ma che può essere solo
la mia, perché ci sono solo io, o, se ci sono altri, oltre a me, ai
quali questa voce potrebbe appartenere, essi non giungono fino a me,
non ne dirò più, non sarò più chiaro. Forse mi osservano da
lontano, non ci vedo alcun inconveniente, dal momento che non li
vedo, come un volto in un braciere, che sanno destinato a sfarsi, ma
la cosa va troppo per le lunghe, si fa tardi, gli occhi si chiudono,
domani bisogna svegliarsi presto. Sono dunque io che parlo, da
solo, non potendo fare altrimenti. No, io sono muto. A proposito, se
tacessi? Cosa mi accadrebbe? Peggio di quello che m’accade? Ma sono
ancora domande. Ecco un tratto tipico. Non conosco domande e me
ne escono dalla bocca tutti i momenti. Credo di sapere di che si
tratti. È perché il discorso non si fermi, questo discorso inutile
del quale non mi si tien conto, che non s’avvicina d’una sillaba
al silenzio. Ma sono sull’avviso, non darò più risposte, non farò
più finta di cercare. Forse sarò costretto, per non restare a
secco, a inventare ancora qualche scena fiabesca, con teste, tronchi,
braccia, gambe e tutto quel che segue, scagliati attraverso
l’immutabile alternativa dell’ombra imperfetta e della dubbia
luminosità, come già mi è occorso. Ma ho buone speranze di no. Ma
ho sempre questa risorsa.
[Samuel Beckett, da L'Innominabile, in Id., Trilogia, a c. di A. Tagliaferri, Einaudi, Torino 1996]
* * *
luci luci...
come riluce
ciò che ha una luce, dentro,
che si spegne
splende perché accalora
perché non tace?
perché se tace dice
“va
bene, tutto questo buio –
dopo sarà soltanto un po’ più scuro"
[Giuliano Mesa, da Quattro quaderni, in Id., Poesie 1973-2008, La Camera Verde, Roma 2010]