Introduzione Che cosa ci si aspetta dagli scrittori? Che nelle loro finzioni introducano dosi più o meno cospicue di verità, lampi di conoscenza sui mondi reali o immaginabili. La lingua della scrittura letteraria non è mai innocente e “naturale”. E’ invece storicamente determinata e sempre in lotta con se stessa per non ripetere il già fatto. In una certa epoca si può, con qualche profitto, variare e arricchire; in altre epoche, quando si avverte l’esaurimento irrimediabile dei correnti modelli linguistici e formali, si è spinti, se vogliamo dallo spirito dei tempi, a ricercare il nuovo, a escogitare inediti modi di raccontare, di fare poesia o teatro. Ciò che chiamiamo la Tradizione è la conservazione delle novità che si sono succedute nel corso dei tempi: “Literature is news that STAYS news” (Ezra Pound in ABC of Reading). Gli scrittori italiani che quasi loro malgrado hanno dovuto inventare il Gruppo 63 appartengono appunto a uno di tali periodi. La passione critica del nuovo agitava il karma occidentale di letterati, artisti e musicisti, dall’Austria al Brasile. Nei primi anni Cinquanta l’avanguardia era generalmente ritenuta una faccenda remota, ormai superata. Nella nostra temperie beatamente provinciale, qualcuno si accorse che la Tradizione moderna era segnata dalle avanguardie, e come tutte le tradizioni anche questa andava rivisitata. Le cose che passano, anche restano. Fenomeno dalle molte facce, la neoavanguardia fu anzitutto una rivisitazione critica della modernità, un ripercorrerla senza pregiudizio e con molta passione di capire. Capire, poniamo, perché si provassero emozioni sottilmente o violentemente diverse nell’ascoltare i concerti per violino e orchestra di Mendelsohn e di Bartòk, nel guardare un Caravaggio e un collage di Kurt Schwitters, nel leggere Leopardi e Samuel Beckett. Tutto ciò accadeva, guarda caso, alle soglie della postmodernità. In qualche modo, alla luce critica di quella rivisitazione, la modernità si mostrava già declinante, e le esperienze dell’arte e della letteratura d’avanguardia, anziché superate, sembravano le più vitali e promettenti. Non consentivano nostalgie o facili epigonismi, incitavano i poeti, gli “espressori” li aveva chiamati Carlo Emilio Gadda in Viaggi la morte, a non arrendersi all’evidenza del declino. Bisogna intendersi su questo punto. |
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lunedì 1 agosto 2011
Gruppo 63 / l'introduzione di Balestrini e Giuliani [ed. Testo&Immagine, 2002]
Pubblicato da
differx
h.
07:31
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Alfredo Giuliani,
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neoavanguardia
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