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lunedì 16 gennaio 2012

°critico per eexxiitt / antonio loreto su gherardo bortolotti


Per vivere molto, bisogna
vivere la vita altrui.
(C. Dossi, Note azzurre, 68)
opinioni differenti circa l’azzurro.
(G. Bortolotti, Tracce, 10635)
Il dinamico lavoro letterario di Gherardo Bortolotti, iniziato in rete una decina di anni fa e tuttora online[1], si concede di tanto in tanto qualche istantanea, di stabilirsi cioè nella forma del libro, come quando nel 2008 viene autoprodotto l’e-book Tracce, che trascrive i post pubblicati pressoché giornalmente dal luglio 2005 al settembre 2008 sul blog Canopo. La pagina si offre come una successione di brevi frasi perlopiù prive di autonomia sintattica[2] (ché di una frase di tal fatta consisteva il singolo post) progressivamente numerate a partire da 10067. Quelle che seguono rappresentano qualche caso esemplificativo:
10079. donne che attraversavano, come amazzoni, il mio campo visivo.
10442. guy debord.
10568. la realtà, i suoi operatori autorizzati.
10676. evergreen concettuali, standard di pensiero buoni per ogni occasione, come: «è colpa loro», «se potessi fare quello che voglio», «non meritavo di soffrire».[3]
Un linguaggio insolito per le lettere italiane, come si vedrà, che tuttavia rimanda – prima che ad altri più o meno recenti, in particolare di lingua inglese[4] – a un modello nostrano di un secolo, un secolo e mezzo fa, mostrando una somiglianza formale piuttosto sicura con qualche non rarissima nota azzurra di Carlo Dossi, di quelle che si sottraggono al predicato diaristico da una parte e aforistico dall’altra, risparmiando al lettore sia vicende strettamente particolari sia pretese di sapienze universali (con il loro valore di verità), per rimanere constatazioni, annotazioni, essenziali appunti di lettura e di scrittura ad uso dell’autore:
169. Frasi stereotipate, tempo edace – humida nox – fulva harena –
334. Il terribile umorismo di Macchiavelli.
4508. orgie di studio dalle quali mi alzavo esaurito.
5687. La letteratura, il romanzo cinetografico dello Zola.[5]

venerdì 2 dicembre 2011

La meraviglia e la volontà di dire: il senso della scrittura di Michele Zaffarano

Gherardo Bortolotti

Una delle questioni che più urgentemente pone il lavoro di Michele Zaffarano è certo quella della disgiunzione tra il senso del testo e l’intenzione dell’autore. La sua scrittura, infatti, si muove in uno spazio precedente alla “volontà di dire” che si considera spesso, per annosa tradizione o per semplice pregiudizio, alla base della scrittura poetica (se non della scrittura tout court). Così facendo, Zaffarano offre la possibilità di un modello diversamente organizzato di letteratura, di testo, di lettura, e permette l’esperienza di quella che potremmo definire una meraviglia radicale, strettamente legata alla dimensione quasi pulsionale, originaria del significato (delle cose, delle parole). [ continua a leggegere qui ]