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lunedì 11 maggio 2020

Tom Sleigh - due traduzioni a confronto

Di Tom Sleigh, da House of Fact, House of Ruin, Graywolf press, 2018 
Traduzioni di Marco Bartoli Giorgia Romagnoli


L'ULTIMO A ESSERE SALVATO

Ricordi le vecchie zie, sarcastiche,
ciminiere, gesticolanti coi loro bastoni,
annotare punto dopo punto coi loro polmoni vedovi?

Come potevo cenare con loro mentre spingevano
avanti i loro piatti non sedani e carote ma
distanza e disprezzo per il loro sciocco nipote

ancora intento, alla sua età, a dimenticare
come diventare vecchi è una cosa tanto nuova
per i vecchi, come lo è nascere per chi è appena nato–

persino le loro malincollate, quasifratte
cineserie irradiano impazienza per la commiserazione
che i giovani si aspettano debbano desiderare.

Il modo in cui continuano a pronunciare MADRE–
come fosse tutto capitale– dicendolo come se
potessero ancora sentirne gli occhi posati sul modo

in cui maneggiano le loro forchette, coltelli, cucchiai,
rendendo ogni boccone più difficile a ingoiare.
Verrà il giorno in cui non ci sarà più acqua

nelle brocche, nessun padre eternamente morente
servito in tavola come spinaci e granturco inscatolati,
nessun diadema di affetto appunteranno all'aria

le loro labbra assenti. E mentre questo silenzio
lentamente scinderà l'ora a mezzo, io sarò lasciato solo
cenare con la vuotezza che, solo per senso

della forma, dirà grazie.
La tavola sarà imbandita d'ombre,
il cibo fantasma servito da ombre–

e tutte le madri morte venute a questo pasto
siederanno su scranni di polvere
nell'imminenza dell'ultima cena

nella cucina andata in gelo dove udirò per l'ultima
volta, l'ultimo materno “Serviti, Tom”
smorzato da quel buio in cui nessuno saprà più

riconoscere la lama del coltello dal suo manico,
o la pietanza dal piatto, o il piatto
dal tavolo, o se c'è un tavolo dopotutto.


   L’ULTIMO AD ESSERE PERDONATO

Ricordi le vecchie zie, sarcastiche,
fumatrici incallite, che fanno cenni col bastone,
e segnano un punto dopo l’altro coi polmoni spaiati?

Come potevo mangiare con loro se sbattevano
sui loro piatti non piselli e carote
ma lontananza e disdegno per il nipote stupido

che, a questa età, sta ancora provando a dimenticare
come essere vecchi sia tanto nuovo per i vecchi
quanto essere appena nati lo sia per i neonati –

perfino il loro servizio di porcellana, quasi tutto
crepato e incollato, emana impazienza per la pietà
che il giovane le spinge a desiderare.

Il modo in cui continuavano a dire MADRE –
tutto maiuscolo – lo dicevano come
se sentissero ancora i suoi occhi sul modo in cui

impugnavano coltelli, forchette, cucchiai,
rendendo ogni boccone più difficile da ingoiare.
Verrà il giorno in cui non ci sarà acqua

nella brocca, nessun padre per sempre in extremis
servito con spinaci e mais in scatola,
né spille di affetto che le loro labbra assenti

appuntano all'aria. E mentre quel silenzio
lentamente spezza le ore in due, sarò
lasciato solo a cenare con il nulla

che, per pura formalità, dice la preghiera.
Il tavolo sarà apparecchiato con ombre,
il cibo immaginario servito dalle ombre –

e tutte le madri morte venute a questo pasto
si siederanno su sedie di polvere
a immagine di quell'ultima cena

nella cucina ormai fredda dove sentirò l’ultimo
materno “Serviti da solo, Tom”
smorzato dal buio in cui nessuno poteva distinguere

la lama del coltello dal manico,
o il cibo dal piatto, o il piatto
dal tavolo, o se ci fosse addirittura un tavolo.

























UN COLPO DI DADI…

Dio…buono, mi fa piangere l’ammissione del mio essere
umano; sentire la gravità di tutto il vostro pane che ho mangiato.

Oh, certo, avete proclamato di avermi innalzato dalla polvere,
ma dov'è la cicatrice che fermenta anche al vostro fianco?

Nulla sapete di quelle Maria che si sono spezzate per bene.
Dio…caro, se solo foste nati umani

oggi sapreste comportarvi come Dio. Ma voi ovunque
da sempre presi a far partito con la perfezione non avete

mai sentito il dolore delle vostre creazioni.
E così tocca a noi, poveri fottuti sofferenti, fare dio.

Oggi, nelle mie invecchiate pupille, vedo il lucore di candele
accese per la mia veglia funebre. Dio…bello, stanchi giocatori,

rispolverate i vostri trucchi, lanciate ancora i dadi falsati–
nel manipolato destino che elemosinate all'universo intero

magari faremo roteare gli occhi fessi che ci osservano di rimando
fissi come la morte, magari servirete due assi neri e il fango

della tomba. Dio…mio, in questa notte fatta sorda e cieca,
non sarete in grado di giocare perché la Terra stessa

è un semplice dado spaiato dagli angoli smussati a forza
di rotolare attraverso troppe finzioni nel cielo a brandelli

e nessuno potrà fermarla finché non sarà caduta nel buco,
quel vasto buco, Dio…, interno a una singola molecola.


I DADI ETERNI

   Mioddio, mi viene da piangere ad ammettere di essere umano;
   a sentire il peso di tutto il tuo pane che ho mangiato.

   Oh di sicuro, sostenevi di avermi sollevato dalla polvere,
   ma dov’è la ferita che fermenta sul tuo fianco?

   Non sai nulla di quelle Maria che sparirono per sempre.
   Mioddio, se solo tu fossi nato umano

   oggi sapresti comportarti come Dio.
   Ma nelle tue continue e onnipresenti notti di festa con la perfezione

   non senti affatto il dolore della tua creazione.
   E siamo noi, poveri stronzi che soffriamo, a dover fare i bravi.

   Oggi nei miei alunni di mezza età, vedo il bagliore delle candele
   accese alla vigilia della mia esecuzione. mioddio, vecchio giocatore,

   ricomincia a fare i tuoi numeri e lancia i dadi truccati –
   nella fortuna già assegnata che elemosini all’universo

   forse faremo uscire un doppio uno che ci fisserà come la morte,
   forse tu avrai una coppia di assi neri come il fango sulla bara.

   Mioddio, in questa notte ormai sorda e cieca,
   non riuscirai a giocare perché questa povera Terra 

   non è altro che un singolo dado dai bordi arrotondati
   dal rotolare per troppi eoni attraverso il cielo in subbuglio

   e nessuno può fermarlo finché non rotola in un buco,
l’immenso buco, mioddio, dentro ogni singola molecola.