Non posso togliermi dalla testa l'idea che la diavoleria si trovi in un'operazione resa invisibile dalla semplicità del risultato, ma che sola può spiegare l'imbarazzo indefinibile che esso provoca. Questa operazione è un calligramma costruito segretamente da Magritte, poi disfatto con cura. Tutti gli elementi della figura, la loro posizione reciproca e il loro rapporto derivano da quell'operazione annullata non appena compiuta. Dietro quel disegno e quelle parole, prima che una mano scrivesse checchessia, prima che si fossero formati il disegno del quadro e il disegno della pipa dietro di esso, prima che lassù fosse comparsa la grossa pipa fluttuante, credo necessario supporre che fosse stato formato un calligramma, che poi si è decomposto. Lì ne abbiamo la constatazione del fallimento e i frammenti ironici.
Nella sua tradizione millenaria il calligramma ha un triplice ruolo: compensare l'alfabeto; ripetere senza il soccorso della retorica; prendere in trappola le cose con una doppia grafia. Innanzitutto esso accosta il più possibile l'uno all'altra il testo e la figura: compone secondo linee che delimitano la forma dell'oggetto con quello che definiscono la successione delle lettere; colloca gli enunciati nello spazio della figura, e fa dire al testo ciò che il disegno rappresenta. Da una parte alfabetizza l'ideogramma, il popolo di lettere discontinue, e fa così parlare il mutismo delle linee interrotte. Ma dall'altra ripartisce la scrittura in uno spazio che non ha più l'indifferenza, l'apertura e il biancore inerti della carta; le impone di distribuirsi secondo le leggi di una forma simultanea. Riduce il fonetismo, per lo sguardo di un istante, a non essere altro che un rumore grigio che completa i contorni di una figura; ma fa del disegno il sottile contenitore che bisogna perforare per seguire, di parola in parola, lo svuotamento del suo testo intestino.
Il calligramma è dunque una tautologia. Ma all'opposto della Retorica. Questa gioca con la pletora del linguaggio, si serve della possibilità di dire due volte le stesse cose con parole differenti; approfitta del sovraccarico di ricchezza che permette di dire due cose differenti con una sola e identica parola: L'essenza della retorica è nell'allegoria. Il calligramma, invece, si serve della proprietà delle lettere di valere contemporaneamente come elementi lineari che si possono disporre nello spazio e come segni che devono succedersi secondo la sola concatenazione della sostanza sonora. In quanto segno, la lettera permette di fissare le parole; in quanto linea, essa permette di raffigurare la cosa. Perciò il calligramma si propone di cancellare ludicamente le più antiche opposizioni della nostra civiltà alfabetica: mostrare e nominare; raffigurare e dire; riprodurre e articolare; imitare e significare; guardare e leggere.
Braccando due volte la cosa di cui parla, esso tende la trappola più perfetta. Con la sua duplice entrata, garantisce la cattura di cui il discorso da solo o il puro disegno non sono capaci. Scongiura l'invincibile assenza che le parole non riescono a vincere imponendo loro, con le astuzie di una scrittura che gioca nello spazio, la forma visibile del loro referente: sapientemente disposti sul foglio di carta i segni richiamano, dall'esterno, con il confine che disegnano, con lo stagliarsi della loro massa sullo spazio vuoto della pagina la cosa stessa di cui parlano. E, di rimando, la forma visibile è scavata dalla scrittura, arata dalle parole che lavorano dall'interno e che, scongiurando la presenza immobile, ambigua, senza nome, fanno scaturire la rete di significati che la battezzano, la determinano, la fissano nell'universo dei discorsi. Doppia trappola; tranello inevitabile: da che parte potrebbero fuggire via, ormai, lo stormo degli uccelli, la forma transitoria dei fiori, la pioggia che scroscia?
Da Michel Foucault - Questo non è una pipa
Cfr:
http://monoskop.org/log/?s=ceci+n%27est+pas+une+pipe
http://it.scribd.com/doc/31432549/Michel-Foucault-Questa-non-e-una-pipa