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mercoledì 8 gennaio 2014

nota / silvia tripodi. 2014



(se) significato e significante sono indissolubilmente uniti come fossero le due facce di un foglio, ancora più netta appare l’esigenza che reclama  nella scrittura – un’azione indipendente, decisiva, unitaria, compatta, nella considerazione ed analisi dei rapporti che intercorrono a formare le strutture fondative dei linguaggi recenti; un’azione che da una parte si svincoli dalla tentazione di fissare in modo persistente termini di paragone e di giudizio e modalità di lettura ed analisi (estetiche, anche) di opere testuali o visive, e dall'altra non trascuri parte delle modificazioni che si sostanziano nella pluralità dei linguaggi contemporanei; linguaggi che sembrano sostare naturalmente in una dimensione retrostante e provvisoria dell’essere (a misura d’uomo). Per esempio, si può anche provare a considerare un concetto come questo, una specie di circuito addizionale, parte di una rete che pur nella somma delle possibilità di interconnessioni non arriva (non ambisce) a costituire un sistema che si arricchisce di accumulazioni in forma di estensioni verticali, di vertici; assume invece il compito di segnare tracce di un circuito-compendio attraverso il quale la ricerca va ad estendersi  –  assolutamente  –  in orizzontale. Si addiziona, si aggiunge; si avanza, ci si ferma; ci si accosta alla ri-conoscibilità delle cose, dei fatti. E alla loro ir-riconoscibilità.

Così una scrittura  o derridianamente, uno sguardo (che contempla parte della sua stessa cecità) – può farsi carico di un enigma e di quella percentuale di fondo silenzioso mai del tutto occupato, restituito d-allo sguardo, d-alla percezione, dalla necessità, nel tentativo di comprendere, di adattarsi attraverso la cognizione dell'estendersi nel mondo civile, incivile, civilizzato. Sguardo che costituisce anche il fondo della memoria, individuale e collettiva.
Una maglia di relazioni in cui linguaggi, contaminazioni, disseminazioni, sezioni, sottrazioni e aggiunte, testi, frammenti, documenti e contesti non esibiscono se stessi: sembra quasi che non ne abbiano il tempo. Piuttosto avvengono naturalmente allo sguardo (nello spazio, dentro dispositivi digitali ed anche su quelli cartacei) nella circolarità, nella serialità, nel meccanismo della ripetizione, bio(tecno)logicamente ed esaustivamente incompiuto sebbene strutturalmente perpetuo. A questa circolarità – enigmatica – delle cose del mondo, si accosta il senso di un'organizzazione che coincide con la storia stessa nel suo spessore temporale, nella continua apertura e comunicazione con gli eventi, tra le cose, attraverso di esse e con il singolo [...]