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martedì 25 dicembre 2012
mercoledì 19 dicembre 2012
Lettera per una ripubblicazione
Caro Vanni,
correggo le bozze della
seconda edizione di «Pseudobaudelaire»
e mi chiedo se nel testo la lingua è in azione, se è ancora visibile; nella
costruzione materiale del libro, il linguaggio che mi ha parlato. Queste pagine
hanno già finito di vivere o possono ancora fare parte di ciò che sarà detto?
Una seconda edizione,
anche se non l'abbiamo segnata nell'ultima pagina, sposta il libro oltre la
parola fine - a più di vent'anni di distanza. Scrivendo queste poesie ritenevo
di avere raccolto segni di una realtà che si era manifestata ampiamente,
codificata in una lingua artificiale, standardizzata per stereotipi politici,
pesanti, ormai privi di emozione, ma che si sarebbe organizzata come memoria in
un tempo successivo, dando vita a una realtà testuale.
Come se la poesia
vivesse prima dell’apparizione del testo. Se è possibile ricordare il passato,
non è possibile dimenticare il futuro. Il futuro non si vede e quando il poeta
lo comincia a parlare, per questo viene considerato cieco.
Scrivevo, dunque,
poesie per un testo invisibile, per conficcare una spina nella lingua che lo
avrebbe parlato.
Il linguaggio standard
usato appare sempre più come una lingua ignota e l’oggetto «Pseudobaudelaire» è merce d’uso per usi
sconosciuti. Non sapevo che i tempi sopraggiungessero così rapidi, da fare
rileggere «Pseudobaudelaire» come
specchio degli anni immediatamente successivi alla sua stesura.
L’irrealtà del libro è
testimoniata dalla irrealtà delle sue traduzioni – e fra queste, la più cara,
quella in lingua ceca, ora che è stato travolto tutto dagli avvenimenti:
proposta, ipotesi di lavoro, traduttrice.
Ma era già irreale il
presupposto di andare alla ricerca dell’oggetto testuale reale, che si sarebbe
formato dopo o avrebbe dovuto manifestarsi dopo. Come un bersaglio nascosto che
fa volare la freccia alle spalle dell’arciere.
Il mio lavoro di poeta
è stato questo: sollecitare, anticipare, percorrere un’improponibile poesia non
mia, convincere che « x » nascerà e che giustificherà
il mio testo.
Oggi molti critici sono spaventati
dalla foresta oscura, continuamente dilatata, della produzione poetica
contemporanea. È evidente che è tramontato il sogno della « poesia fatta da
tutti » in nome del sogno della « poesia che sta per comparire »: una grandiosa
piramide, in cui ciascuno pensa che verrà collocata la sua pietra.
Con «Pseudobaudelaire» fabbricavo una pietra
di scarto. Dalla produzione di significati volevo esaurire la possibilità di
senso. Un contenuto senza recipiente che lasciava a mani vuote la catena del
passamano.
Una poesia senza
lettore in attesa della nascita del testo, dove sarà tessuta, scomparendo in un
disegno più profondo.
L’origine della poesia
è l’eco, ma, qui e ora, sono l’eco di una bocca chiusa, che non si è ancora pronunciata.
Per il poeta non c’è
nessuna biografia – a tutela della sua immagine. La società ha fissato una
soglia, un limite che serve solo ad entrare e dal quale il poeta vuole solo
uscire. Non si vuole spostare la parola oltre il limite del presente. Non si
vuole futuro, per dimenticare ciò che volevamo in passato.
Così, al contrario del
romanzo, non si sviluppa tempo nel tempo della poesia. Resta ferma – per questo
non mi sono opposto alla seconda edizione di «Pseudobaudelaire». Va bene. E va bene la mancanza di biografia,
sempre lo stesso vuoto: «Corrado Costa è nato al Mulino di Bazzano (Parma) il 9
agosto 1929. Vive a Reggio Emilia, esercitando l’avvocatura e la patafisica».
Se la poesia
contemporanea ha qualche punto di partenza, non ha ancora qualche punto d’arrivo.
È qui che mi distinguo dai poeti «arrivati». Non si è stati
chiamati a innalzare un edificio, ma «a vedere in trasparenza - cito da
Wittgenstein – davanti a sé le fondamenta degli edifici possibili».
Per questo i miei libri successivi
non sono altro che ciò che avrei dovuto scrivere prima di «Pseudobaudelaire».
Corrado Costa – Lettera all’editore a proposito
della seconda edizione di Pseudobaudelaire
[da «Cose che sono parole che
restano» edizioni Diabasis 1995]
Pubblicato da
giorgia romagnoli
h.
07:00
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lettera per una ripubblicazione,
Pseudobaudelaire
martedì 18 dicembre 2012
Musikzaff--
Michele Zaffarano
Mariangela Guatteri
Montericco, 29 novembre 2012
Pubblicato da
mariangela guatteri
h.
16:28
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domenica 16 dicembre 2012
b t w b h (blind spot, retches, ὑποτείνουσα ) / f.t. 2009-2011
è
in strada e niente scalzi, ai nervi no
piattino,
non l’angolo con quella mutilata –
alberello
| bachelite | samarìdio
o
mette avanti lui pellicola diversa fa interfaccia
con
le alghe che attillate, là ai satelliti cascati, le meduse
fra
i pilastri della circonvallazione:
cosa
detta è massacrata, qui
se
in altro ordine di appunti (puntuazioni)
l’occhio
ha visto sé nel vetro
bocca
ha chiesto se occhio avere
visto
il proprio – in questo – punto cieco
*
* *
o
no ed è fatto con
to
sui conati – miocloni che ne vanno
– in
dato darsi l’orrore di passare passando
le
due dita sul costato, che ne costa se coeso
a
cataste, di disgregati, l’infesto letto sul retro
magnete
del foglio, slegare, nemmeno, nequire,
il
nervo teso sotto allaccia qui ad inchiostro e tabacco,
una
tazza di nestlè le ossa bianche che lascia,
di
ch’è composta -plice -cata e dirsi avendole
predate,
la stessa
mano
che adesso t
i
ad esso ti s
trozza
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f.t.
h.
18:15
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poesia
"dialoghi a distanza", di pietro d'agostino _ a roma il 19 dicembre
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differx
h.
00:38
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giovedì 13 dicembre 2012
sabato 8 dicembre 2012
tentiamo un altro elenco / giuliano mesa. 1989
La conclamata fine delle certezze, se tale, non potrebbe che avere conseguenze incerte. A queste non appartiene la certezza dell’irrimediabilità dell’esistente, che, sappiamo, è l’ideologia fortissima del decennio, e che, sappiamo, ha generato più sollievi che angosce. Ogni determinismo rivelatosi insostenibile, dentro e contro il dominio, l’incertezza ha indotto, massimamente, ad agevoli ed agiati (e adagiati) migliorismi, e, nello specifico, al fiorire di torme di “cuori in pace”, che riscoprono una “serenità dell’arte” magari riproponendone la “inutilità” (l’autonomia autoriferita sdrammatizzata) proprio quando più nessuno la nega, magari riproponendone la “utilità” (con dei bei referenti ben finalizzati) proprio quando tanto è apprezzata un’arte lenitiva. Serenità utili e inutili, che serenamente convivono, rappresentano impeccabili la loro assenza, il loro esagitarsi nel grande rito di celibato dell’occidente necrofilo, necrofago e invaghito come non mai del suo sapere. Scrivere senza serenità sarebbe già una possibile sperimentazione? (L’avanguardia, e il suo progetto, sono invece possibili solo per chi si ostina a credere che la storia abbia un suo moto inderogabile verso il “bene”).
Tentiamo un altro elenco. Una sperimentazione intesa quale mera opposizione (al linguaggio poetico egemone, se c’è, o ai linguaggi del potere) dura lo spazio della sua reazione (ripetibile, sì, e anche serenamente, e tanti sono i ripetenti). Una sperimentazione solo intesa a far “progredire” l’arte, si immagina verso qualche monumento di civiltà, sarà utilissima per decorare i centri sperimentali della così bramata società telematica. Tanta sperimentazione del Novecento è cresciuta dentro gusci ideologici liberticidi e razzisti e classisti: non va dimenticato e va ricordato, quindi, che sperimentazione è parola di per sé garante di ben poco, al di fuori del suo uso contingente e contestuale.
[...]
Supposto che la motivazione ontologica, ma direi piuttosto biologica, e quella storica dello scrivere permangono oltremodo incognite, se si scrive per una necessità di conoscenza e descrizione critica del negativo (diciamo che il positivo sia già nel farlo), se ogni lettera tracciata proviene da uno sgomento e da un orrore impagabili e da desideri che lo scrivere può solo inasprire, allora la sperimentazione coincide con questo stato di necessità. E sono sempre gli altri a riconoscerla, a riconoscerlo.
[...]
Morto il determinismo teleologico, si rifonda la volontà: e l’etica con essa.
[in Primo Quaderno di «Invarianti». Letteratura, a c. di Giorgio Patrizi, Pellicani, Roma 1989]
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f.t.
h.
07:30
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non va dimenticato,
perché si scrive?
giovedì 6 dicembre 2012
b t w b h (focale) / f.t. 2009
adesso
scarica però pisciando è preso
nello
scarto di focale a lato
della
lente è registrato il dilatarsi di ombre
fitomorfe
oltre il vetro smerigliato potrebbe
essere
l’echinocacto lasciato dal locatario precedente
o
la testa senza corpo di
Pubblicato da
f.t.
h.
03:23
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bringing the war back home,
fabio teti,
nel malintendere,
senza parafrasi
sabato 1 dicembre 2012
maurice roche,Codex
Pubblicato da
riccardo cavallo
h.
16:06
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Maurice Roche,
recognitiones per eexxiitt
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