senza paragone 13
01.
simili alle scritte sui muri, alle ere del loro sovrapporsi, come se
gli scorci urbani potessero, in prospettiva, proferirne il senso,
quando tutto sarà finito
02.
diversa dall’ostinazione dei giorni, dalla trama velleitaria che le
cose si piccano di mantenere in piedi, occupando in silenzio le tue
stanze, l’ufficio, i marciapiedi di viali periferici trafficati, in
cui ti riprendi da lunghi pensieri sottotraccia, da catene di
associazioni slogate, di visi, di brutte figure, per evitare una
donna che passa, il palo della luce su cui qualcuno, in un giorno
lontano, ha attaccato un adesivo e qualcun’altro, successivamente,
un altro ancora e forse un’automobile, sbandando, ha rotto il faro
i cui frammenti, senza capire, ti trovi a fissare dispersi,
impolverati, quasi preziosi
03.
non diverso dal centro commerciale, d’inverno, di sera, quando le
luci dei fari si muovono nei viali del suo parcheggio e per pochi
minuti si accendono, come scene di vicende spaiate, concitate, le
istantanee senza senso di famiglie che salgono in macchina, di donne
con il carrello vuoto, di sacchetti della spesa appoggiati per terra,
accanto al bagagliaio dove, nell’ombra, sembra muoversi un cane
04.
come i giardini sul retro delle villette a schiera, gli angoli in cui
qualcuno ha lasciato un rastrello, appoggiato al muro percorso da
crepe, macchie, segni di corrosioni microscopiche e incessanti
05.
pari al suono della sveglia, che innerva la finissima tensione
superficiale del sonno, la dissipa all’istante e ti rimette in
posa, sullo sfondo della realtà corrente, nel mezzo di scene di
interni, ricordi, occupazioni transitorie e ti inizia a una sequenza
spastica di eventi, inarrestabile, votata al sacrificio del proprio
giorno, alla consumazione del tempo e delle occasioni, mentre,
superando la porta della tua camera, il cono degli impegni, delle
stipulazioni che hai in corso con ciò che è vero, ti precede in
bagno, in cucina, lungo le scale che scendi
* * *
senza paragone 17
01.
identici a cose che credi di aver visto con la coda dell’occhio,
forme lunghe, cupe che si rifugiano dietro l’angolo della credenza,
oltre le piante all’ingresso, nel corridoio da cui ti arrivano i
suoni furiosi della lavatrice che centrifuga la biancheria, i jeans
che fra qualche giorno
02.
simile all’indice che a volte ti guardi, mentre fai qualche cosa,
mentre digiti le cifre del tuo codice al bancomat aspettando conferme
da sistemi contabili complessi, innervati via cavo nei volumi
cittadini, raggiunti da circuiti globali di comunicazioni via
satellite, server farm attrezzate in periferie del terziario, centri
di calcolo dedicati alla produzione di algoritmi per l’analisi
delle transazioni di valuta, dei loro picchi, della velocità con
cui, come maree di lacerti di pensieri e associazioni di idee,
attraversano sottotraccia il fenomeno più complesso della finanza
transnazionale che trascina nel proprio moto, come una rete a
strascico, sistemi meno rigorosi come le nostre vite, i piccoli
progetti, i destini legati alle filiere industriali ed alle medie
salariali nazionali
03.
differenti dalle belle mattine di sole, dalle occasioni, dalle
piccole coincidenze che si innestano nel moto del giorno, come anime
in fil di ferro, sottili, raggiate, filiformi, in grado di rimanere,
nel tempo, dopo il crollo dei minuti, delle ore, in piedi come resti
di muri in cemento armato, alzati in anni passati, consegnati al
futuro, al disfacimento
04.
diverso dal fluido del giorno, dai coaguli di ordine involontari, dai
minuti, lamellari intralci all’entropia in corso che li trascina
dispersi, invischiati, attirandoli verso il fondo su cui si
depositano i casi della tua vita, le vacanze in estate, i pranzi da
amici che, mentre parlano d’altro, senza quasi capire
05.
diverse dalle cose che dici la sera, dalle abitudini a cui ti riporta
il mattino
06.
simile a ciò che non vedi, ai fiori che perdono i petali sul tavolo
del salotto, mentre tu sei in ufficio, e torni per raccogliere le
prove di una stagione di eventi segreti, di un tempo mitico in cui,
nella penombra, il tessuto connettivo del calice ha ceduto e, per
alcune frazioni di secondo, la falda bianca e carnosa ha solcato il
volume dell’aria nelle cui correnti convettive, dalla sala, alle
camere, riprendi ad abitare