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giovedì 2 febbraio 2017

da: conferenze sull'impraticabilità del mondo / simona menicocci




è sottratta una durata, dunque schiacciato, è così schiacciato tra la rincorsa dei mezzi e al contempo privato del respiro necessario, e con esso la fatica, la persistenza delle polveri sottili, il doppio lavoro, se e come e quanto un curriculum divenuto sentimentale possa dar conto cioè dire, poniamo, nella posizione giusta per stare, impossibile, riappropriarsi del godimento di imparare, quantomeno, immaginarsi – e nel far questo, questo tenere, e nello scrivere, produzione e prolungamento di un mondo, come habitat (della retribuzione, della vulnerabilità), mai guadagnatosi un diritto, in una eterna, il presente, proporre di rivendicare, continuamente frammentato, che il neoliberalismo impone e raramente attualizzato come prassi, non ha bisogno di uno svolgimento per acquisire valore, in fondo l’avvenire, scriveva, non è che una frase che avanza, continuerà come ritmo, senza però postulare, abita e stabilisce, per così dire, un fuso orario autonomo, sottratto, è quello che resiste alla logica dell’agonia, che vorrebbe una perenne e progressiva caduta verso la morte (confine, disoccupazione, bancarotta, come se non fosse già ovunque attorno a una guerra, malattia, su cui una polis, su cui una misura differente, che cosa può essere, allora, e come fare, che possa essere usato e disperso, fatto di frasi, senza criteri scientifici di selezione o pretese di esaustività, motivo centrale è, al pari del microscopio o del telescopio, la realtà in flagrante, lo stato di permanente ricostruibilità del mondo visibile è anche il luogo di una perversione: ecco, ho cercato di maneggiare, ecco, ho cercato di maneggiare, ogni oggetto, è in continuo montaggio, un continuo, fondamentale, in questa concezione, è il procedimento dal basso, rimanere al ceto di partenza, in tutti questi casi ci troviamo di fronte a un intento, un vedo concentrato in ogni materiale, intendeva il materiale come qualcosa da cui si potesse attingere più volte, è fatto con frammenti di realtà organizzati in soggetto, che si cristallizza, si rivela, si smonta.



alcuni, il terzo punto da confutare è che chi lavora, e non solo, non può darsi linguaggio, immagine, guerra, privati, di un linguaggio, un primo passaggio significativo è smontare, come atto deliberato, intenzionale, non è lineare, procede per discontinuità, coltiva la possibilità di un rifiuto a mettere in ordine, nel compost, il mondo, qui gioca un ruolo, qui non vota da 4 anni, da 4 anni cerca lavoro nella disbiosi e quali cause allora, dissentire tutto, dall'olocene al piloro, il dottorato è solo su Tasso, o la mano sulla coscia, in aula come in taverna, brachialgia, e, nei casi più gravi, coinvolgerà un pubblico virtuale, dire solo sì o no, no, ma, e questo andrà a creare una pressione sulle strutture, studiare l'analfabetismo di ritorno, col tablet per il prelinguistico, il massacro di riempire a piacere con minoranze a caso, e ci sono pure vari tipi, non si difendono o si difendono male, proprio per questo l’erniazione e altre ragioni di natura, geografia, e quindi abitazione, quindi cavitazione, ovvero le svariate conseguenze dell'atto del lavoro, in inglese, come fertilità, quindi animale da reddito o da monta, bello e bravo, si raccomanda, o era invece un troll, un ministero, a sua insaputa, intanto permette una pulizia per asportazione, durante questo periodo le articolazioni non scrocchieranno, dopodiché sarà ancora possibile, il messianismo è tutto italiano, se d'altronde, una filosofia della storia che concepisce il tempo come tempo a termine, non sviluppa una diagnosi del presente, non c'è altro, come non vivere mai, peggio, si intende la fuoriuscita dalla sua sede, storia, decisamente dolorosa e altrettanto invalidante, protrusione – ovvero una sociopatia – che crea altro.



a Niccolò Furri

le ipotesi erano dirette a Gorino, Gorino in epistemologia indica la premessa non necessariamente vera di una dimostrazione, il mero fatto che il soggetto, propriamente, sia sempre dentro, le barricate, condizioni che minano, o che vorrebbero ostacolare, la vita, e significa, sempre, siamo suscettibili, in misura crescente, esponenziale, automatica e sistematica, non è una questione di razzismo, e non è una questione, con quale responsabilità politica, ad esempio, ancor prima che filosofica, si ha il coraggio di ricordare, ammettere di non aver sentito troppe risposte all'altezza di queste domande, benché non ne abbia nemmeno io, com'è evidente, contempla perfettamente l’idea che il divenire un nullatenente non sia una remota possibilità, nessuna sporgenza per una presa, eppure ci sono punti di resistenza invisibili dappertutto, ciò su cui preme qui insistere, tuttavia, è che insistere ad esistere in questa barbarie, che secondo le deplorevoli strumentalizzazioni di queste parole, dipende da un determinato insieme di condizioni simboliche e materiali, una presenza, evidentemente ingombrante, ha prevalso, il suo famoso detto "hypotheses non fingo" (non invento ipotesi) vuole escludere, chiudendo l’accesso e arrivando a impedire, il paese vive soprattutto, sono un fatto, ma non isolato, ci sono sempre esempi più gravi di questo, non è un esempio, le proteste, le rivolte, le sassaiole, gli attacchi incendiari, è invece proprio questo a parlare, arriva alla verità solo con il ritrovare se stesso nel totale smembramento, tutti, d'altronde, prima o poi, è ciò che ci accomuna in quanto, niente, al proliferare ininterrotto e convulso di differenze e novità, paure, il sottotesto implicito è che rende la vita invivibile, ripeto: non parlo, si tratta di un’affermazione che leggo come un modo, dirimente, al contrario, è osservare, che ne è del fatto o del fatto di essere, ontologicamente dipendenti e tuttavia politicamente arrabbiati, o sfiniti, d'altronde la politica, se d'altronde, è la morte che è, vivere una vita umana, entro canali di perfetta e innocua docilità, sottilmente plasmata, o pesantemente indotta.