che si trovano nel labirinto, ansimanti, che corrono in direzioni
sempre sbagliate, che non sono arrivati a capire nemmeno i principi generali di
una regola pur contraddetta, e dunque ridono oppure si disperano, colti da
accessi di rabbia si avventano contro le siepi, cercano di svellere le radici,
di sollevarle almeno in parte nel tentativo di aprirsi un varco nella trama
fittissima dei rami sottili del bosso, nel tessuto delle piccole foglie dure e
lucide, strappando pezzetti di rami neri e taglienti, vanamente districandoli,
stretti come sono l'uno all'altro in numerosi tipi di intreccio, scuotendoli
come per scalzare la loro intollerabile impenetrabilità, schiaffeggiando le
pareti, i muri vegetali, come per infliggere il meritato castigo per una
crescita troppo compatta a protezione del percorso, graffiandosi le dita,
lacerando il palmo delle mani, trattenendo le punte dei rami brandelli di pelle
degli avambracci, provocando autentiche e profonde ferite fin sulle braccia,
fin sotto le ascelle, incise dalle punte dei rami già spezzati, a forma di
corte lame affumicate, così da sanguinare abbondantemente dopo aver provato una
sensazione di strappo, di lacerazione indolore, dopo averne sentito il suono,
dopo un lieve urto, una puntura prolungata, seguiti da urla, provocando corse e
movimenti in apparenza insensati, come contorcimenti e mezze giravolte, con le
labbra attaccate alla ferita, nel tentativo di impedire l'infezione succhiando,
lambendo, mentre le pareti vegetali si richiudono senza lasciare tracce
visibili delle violenze